Biennale Arte di Venezia 2019

La 58a Biennale Arte di Venezia sarà aperta al pubblico da sabato 11 Maggio a domenica 24 Novembre 2019. Il titolo dell’edizione di quest’anno è May You Live In Interesting Times. Al suo interno saranno esposte opere di artisti provenienti da 90 nazioni e, tra tutte queste, abbiamo selezionato alcuni padiglioni da vedere assolutamente. A partire dal gigante dell’arte contemporanea – gli Stati Uniti – ma inserendo anche due stupefacenti debutti: il Ghana ed il Pakistan.

Stati Uniti

Stati Uniti
Big Bling
Foto di Y. Matsui
Courtesy of Matthew Marks Gallery

A rappresentare gli USA c’è Martin Puryear, un veterano dell’arte internazionale che con la sua esposizione dal titolo Libertà continua la sua decennale esplorazione di forme astratte meditando sulla libertà come tema umano essenziale. Una esplorazione, quella di Pureyar, che parte da lontano: lo scultore afro-americano è sempre stato considerato dalla critica un artista “politico” e prova ne sono le sue statue – apparentemente astratte ma che in realtà sono piene di riferimenti a cose ed eventi di rilevanza mondiale.
Intervistato di recente dal New York Time sulle sue fonti di ispirazione, Puryear ha risposto: “Ensor, Bruegel, Goya”.

Albania

Albania
Maybe The Cosmos…
Foto di Ida Pisani

Driant Zeneli rappresenta l’Albania con la sua installazione Forse il cosmo non è così straordinario, che ha al suo centro un film ambientato nelle miniere di Bulqize, dove, dal 1918, viene estratto il cromo. Ma quest’opera non è un semplice racconto della storia delle miniere perché , tramite narrazione filmica e performance, Forse il cosmo non è così straordinario espone la fantastica storia di un gruppo di adolescenti che scopre una capsula cosmica che permette loro di seguire il percorso del cromo estratto dalle miniere: dall’estrazione fino al suo sviluppo.
Al centro dell’opera di Driant Zeneli – legata a doppio filo con gli sviluppi socio-economici del suo paese – si trova la ridefinizione delle idee di fallimento, utopia e sogno.

Ghana

Crucifix

A rappresentare per la prima volta nella sua storia il Ghana alla Biennale Arte ci sono sei dei suoi migliori artisti: El Anatsui, Ibrahim Mahama, Felicia Abban, Lynette Yiadom-Boakye, John Akomfrah and Selasi Awusi Sosu. Il più noto di questi è sicuramente El Anatsui: un artista di livello mondiale e i cui lavori vengono battuti all’asta con prezzi milionari. L’intento dell’esposizione, dal titolo Ghana Freedom, è riflettere sul passato del Paese africano ed immaginare un futuro lontano dalle ombre del post-colonialismo.
Un padiglione consigliato anche da uno dei maggiori esperti mondiale d’arte: Jasper Sharp, curatore dell’arte moderna e contemporanea per il Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Mongolia

mongolia
Breath In Breath Out
Foto di Jantsankhorol Erdenebayar

Arrivata alla sua terza partecipazione alla Biennale Arte, la Mongolia espone un progetto interdisciplinare dal titolo A Temporality, frutto della collaborazione dell’artista mongolo Jantsankhorol Erdenebayar (detto Jantsa) e del compositore tedesco Carsten Nicolai (alias Alva Noto). L’installazione consiste in una serie di sculture che dialogano con le stanze anguste e della vecchia casa veneziana (la sede del Padiglione) e con i tradizioni canti di gola e strumenti musicali mongoli trasformati da Alva Noto.
L’intento è investigare le trasformazioni nei tabù, nei riti e nelle abitudini costruiti dalla società.

Pakistan

(Dall’archivio di Naiza Khan)
Courtesy of the Artist

Il Pakistan partecipa alla Biennale Arte per la prima volta nella sua storia con l’opera Manora Field Notes dell’artista Naiza Khan: una installazione che racconta la trasformazione dell’isola di Manora (in un arcipelago arcipelago non lontano da Karachi). La Khan ha passato mesi a lavorare sulla stessa isola con le comunità locali per documentarsi sul cambiamento della natura e del paesaggio dell’isola dalla fine anni ’30 ad oggi. Un cambiamento che, secondo la Khan, non rappresenta solo il Pakistan ma che invece riflette sconvolgimenti in atto in tutto il cosiddetto “Global South”. Questi cambiamenti, lenti ma inarrestabili, hanno portato al lento cancellarsi della storia e dell’ecologia naturale dell’isola. La narrazione accompagnerà i visitatori attraverso materiali d’archivio relativi alla navigazione nell’arcipelago, immagini di rovine e di cantieri al lavoro, ed una installazione video con filmati registrati sull’isola nell’ultimo decennio.
In quanto all’intento del suo opus, Naiza Khan ha dichiarato: “L’arte è un linguaggio universale che lascia un profondo impatto nelle mente delle persone […]. Queste opportunità devono essere sfruttate per dire al mondo che le espressioni artistiche praticate in questa regione del mondo sono contrarie all’estremismo e al terrorismo.

      Cover Foto: Francesco Galli.

 

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